Le torri costiere, baluardi del tempo

La difesa costiera è sempre stata prioritaria per ogni popolo così come la necessità di controllare il transito marittimo. Soprattutto in avamposti strategici prospicienti lo Stretto di Messina, tra Scilla e Cariddi, sul quale si affaccia il litorale terrazzato della Costa Viola e quello della Piana di Gioia Tauro.

Anche in questo lembo di terra costiero a sud sulla punta dello stivale, tra calette sabbiose e falesie rocciose a strapiombo sul mare li dove precipita bruscamente tra le acque il massiccio aspromontano, vi sono le tracce di torri e fortificazioni, con antica funzione di difesa, avvistamento, trasmissione dei messaggi (di fumo, luminosi, con bandiere): di torre in torre un allarme poteva arrivare da Villa San Giovanni a Napoli in poche ore.

Una mappa del 1741 (a firma di Domenico de Rossi) ne indica alcune non più esistenti ed altre ancora indicate diversamente rispetto alla realtà, a conferma della difficoltà dell’epoca di restituire graficamente la geografia dei luoghi.

Risalire all’epoca di ogni torre non è sempre facile. La forma originale alterata da rimaneggiamenti costanti, l’uso consueto di materiale di risulta, il degrado generalizzato, rendono quasi sempre approssimativo ogni tentativo di precisa classificazione, considerando tra l’altro l’avvicendarsi continuo di dominatori e conquistatori i quali, nei secoli, hanno istituito, distrutto o ampliato i manufatti presenti sul territorio: bizantini ed arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi, spagnoli, austriaci, borboni e francesi, piemontesi, hanno in un modo o in un altro contribuito a caratterizzare la cultura e le architetture del comprensorio. Basti pensare alle prime torri saracene ampliate poi dai normanni, al sistema di torri costiere spagnole (istituite a partire dal 1550 proprio a difesa dai saraceni), alle ultime fortificazioni francesi che sotto Murat (1810) integrano le torri cinquecentesche e che diverranno la base per quelle ulteriori costruzioni o ampliamenti (forti e batterie) realizzati poi dai borboni (a partire dal 1820 in poi). E’ il caso del Castello Ruffo di Scilla (che da castello feudale si trasforma in fortezza) e dei manufatti di Villa San Giovanni: Torre Cavallo, la fortezza di Altafiumara, il fortino di Pezzo (Forte Beleno) la cui torre non più esistente (detta “del Pezzòlo” o “del Piràino”, coincidenti per alcuni storici) probabilmente è quella visibile nel quadro (“pala”) della Chiesa di Cannitello databile intorno ai primi del ‘700.

La Torre S. Gregorio, viene invece citata nelle cronache d’epoca come “vedetta” necessaria a trasmettere da Torre Cavallo a sud alla vedetta di Capo Pacì a nord e quindi alla fortezza di Scilla quei messaggi provenienti dalla meridionale Torre del Pezzòlo a loro volta derivanti dalle torri di Catona e probabilmente da Reggio Calabria.

Messaggi che da Scilla proseguivano di torre in torre fino a Torre Rocchi a Bagnara, quindi da Monte S. Elia alla Torre S. Francesco a Palmi (non più esistente), alla Torre di Taureana a Palmi e così via verso la capitale del Regno di Napoli. Un complesso sistema difensivo facente capo, fin dalle origini, al polo fortificato di Scilla. In un disegno di G. Fortuyn del 1773 si fa riferimento a Capo S. Gregorio o del Dirupo: è ancora oggi visibile il punto da cui si staccò l’enorme masso che oggi costituisce l’insieme di scogli sulla costa di Marina S. Gregorio comunemente detta “Costa Viola”. In una mappa del 1790 si distinguono da Nord a Sud a partire dal Castello di Scilla le postazioni di: Capo Pacì, Capo Diruto, Capo San Gregorio, Capo Cavallo, Capo del Fortino (facendo riferimento alla fortezza di Altafiumara), Capo o Punta Pezzo. L’intera Costa Viola era dunque disseminata di vedette, torri con batterie, fortilizi, tra loro comunicanti tramite apposite strade o passaggi sotterranei. Alla fine dell‘800 dalle mappe si evince la presenza del forte di Spontòne (assimilabile all’attuale fortezza di Altafiumara), il forte di Casarati (esistono ancora oggi i ruderi di un forte in località “Capuràfi” o “Caporafi”sovrastante l’attuale Pilone), il forte di Pistorino (approssimativamente nei pressi dei Piani di Bova, sovrastanti cioè la Torre S. Gregorio), il forte di Scrisi (probabilmente nei pressi dell’attuale vetta sulla quale insistono numerosi ripetitori per telecomunicazioni). . La località Pirgo, sovrastante Villa San Giovanni e al confine con Campo Calabro, significa in greco proprio “torre”. Le torri e le fortezze erano un tempo raccordate da passaggi sotterranei segreti o da sentieri e vie più o meno conosciute, delle quali oggi rimane traccia.

Ancora oggi sono ben visibili i forti utilizzati fino alla prima guerra mondiale e di competenza militare fino a qualche decennio fa come il forte Siacci (1888), il forte di Matinìti inferiore, forte Beleno, forte Pignatelli, tutti tra Campo Calabro e Villa San Giovanni Veri e propri “musei”all’aperto, incustoditi e spesso utilizzati dagli appassionati di “war games”, e dai quali si domina la Sicilia e lo Stretto in uno scenario mozzafiato dall’incomparabile bellezza. Un mare da sempre solcato da imbarcazioni di ogni tipo e di ogni epoca, i cui fondali sono depositari di segreti ed immensi tesori. Imbarcazioni spesso dedite alla pesca.

E infatti, la funzione più affascinante e recente delle torri, comunemente dette “torri saracene”, è quella legata alla “caccia del pescespada”. Un rito risalente all’epoca fenicia che oggi si perpetua sulle moderne “passerelle”, evoluzione dell’antico “luntri” a remi e delle “feluche” a vela del ‘700 appositamente modificate. Sono moderne imbarcazioni a motore munite dell’altissima antenna (anche 20 m) sulla quale si posizione l’avvistatore e della lunga “passerella” (anche 50 m) su cui si colloca il fiocinatore, il quale procurerà il colpo ferale al “Re dello Stretto”.

Un tempo le torri venivano utilizzate proprio per avvistare il pescespada: uomini con occhi che “scumbògghiunu l’acqua” (ovvero che “scoprono l’acqua”) da terra guidavano il “luntri” in mare segnalando la posizione del pesce con l’ausilio di drappi bianchi e quel gergo gridato (“bandiàtu”) ormai scomparso.

All’ombra delle torri, tra i profumi della macchia mediterranea, in un silenzio fuori dal tempo, sembra di sentirlo, trasportato dal vento, l’echeggiare del “bandiatùri”: una nenia ora lenta ora incalzante che evoca antiche origini, ricordate oggi dai baluardi di pietra.

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